di Salvo Barbagallo
La settimana scorsa a Tripoli si è combattuto: le forze “ribelli” di Ghwell hanno tentato di occupare l’aeroporto presidiato dalle forze “regolari” del governo di Fayez al Serraj, riconosciuto dall’Onu. Scontri analoghi si erano registrati anche il 13 dicembre scorso e prima ancora in ottobre, poi cessati a seguito di un negoziato: gli scontri tra le milizie libiche quasi sempre sono provocati da interessi tribali o per il controllo di aree o infrastrutture che consentono di incassare denaro. L’altro ieri sera (23 gennaio) due autobomba davanti ad una moschea a Bengasi: bilancio dell’esplosione 27 morti e oltre 30 feriti: i fedeli coinvolti nel sanguinoso attentato, avvenuto intorno alle 20:20 ora locale, stavano uscendo dalla moschea Baiat al Ridwan, nella zona del quartiere di Al Salmani, non lontano dalla zona portuale. Tra i feriti vi sarebbero Almahdi Al Falah capo dell’Intelligence department, Internal security e State security, mentre sarebbe morto Ahmed Alfaytori, capo del dipartimento delle unità investigative. Ferito anche il colonnello Belkasim Al Obaidi, del Direttorato della Sicurezza di Bengasi. Come riporta l’agenzia Ansa, l’esercito nazionale libico del generale Khalīfa Belqāsim Haftar – ministro della Difesa e Capo del governo cirenaico di Tobruk – negli ultimi tempi ha più volte affermato di aver sconfitto gli integralisti e di avere il controllo dell’area portuale. Ma gli attentati fuori dalle moschee, seppure meno frequenti, sono continuati. I combattimenti a Bengasi come a Tripoli sono parte del sanguinoso conflitto scatenato in Libia da molteplici fronti dopo l’eliminazione, nel 2011, del leader libico Muammar Gheddafi.
Scarne notizie di cronaca quotidiana in un territorio a poche centinaia di chilometri dalla Sicilia, l’Isola che continua ad accogliere il flusso “incontrollato” di migranti che provengono principalmente proprio dalla Libia, nonostante gli accordi intercorsi fra l’Italia e quel Paese. Non solo: c’è da ricordare la presenza militare italiana in Libia. Come evidenzia Gianandrea Gaiani su Analisi Difesa, è questo Un tema che impone a Roma riflessioni e valutazioni specie in questi giorni di dibattito parlamentare indetto con la riapertura delle Camere, già sciolte, per discutere delle nuove missioni militari in Africa varate dal governo dimissionario e votare il rifinanziamento delle missioni militari all’estero per i primi nove mesi del 2018. Il governo Gentiloni ha infatti messo a punto tre missioni in Niger, Libia e Tunisia (per un costo complessivo di circa 100 milioni di euro nel 2018), illustrate ieri dal ministro della Difesa Roberta Pinotti, che confermano come il focus degli interessi strategici italiani sia concentrato sempre di più su Mediterraneo, Nord Africa e Sahel. In Libia i nostri militari saliranno da 270 a quasi 400 con 130 veicoli raggruppando la missione di assistenza sanitaria che vede l’ospedale da campo installato a Misurata con le operazioni di addestramento e consulenza alle milizie fedeli al governo di al-Sarraj (…) Attualmente un gruppo di tecnici della Marina a bordo della nave officina Capri assicura nel porto di Abu Sittah (sede istituzionale di al-Sarraj) la manutenzione delle motovedette che la Guardia costiera libica impiega per contrastare i traffici di immigrati illegali diretti in Italia. Specialisti dell’Aeronautica hanno fornito nelle scorse settimane ricambi e consulenza ai colleghi libici per rimettere in condizioni di volo i cargo militari C-130H basati proprio a Mitiga (…) E’ previsto l’arrivo di decine di istruttori e consiglieri dell’Esercito che addestreranno le forze terrestri governative, probabilmente a Misurata o nella stessa base di Abu Sittah se a Tripoli non saranno garantite adeguate condizioni di sicurezza (…).
Ecco, tutto ciò si verifica a due passi da casa nostra: schermaglie belliche, attentati, migranti, c’è tutto nel calderone infuocato e caotico della Libia mentre non sono valutabili (o nessuno intende valutare) le ricadute negative che possono aversi nei confronti del Paese Italia e, soprattutto, dell’Isola Sicilia. Questi argomenti cadono in un “quasi” silenzio mediatico sul piano nazionale e isolano: c’è la campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento e l’attenzione non può (o non deve?) essere indirizzata verso questioni scabrose che (almeno in teoria) potrebbero provocare preoccupazioni non controllabili. Ma i fatti restano fatti e, prima o poi, le conseguenze si avvertiranno. Trascurato il problema migranti, in questa (perenne) fase delicata di un’Italia che si approssima a una data decisiva per il suo futuro, le “guerre” interne della Libia sotto “tutela” dell’Onu, a chi possono interessare, così come a chi può interessare se gli jihadisti “sconfitti”, approfittando del caso esistente, non si insediano stabilmente in Libia. Quella Libia, sempre e come detto, a due passi da casa nostra…